Soffro di Tunnel Vision
Un nome in inglese figo per attirare l’attenzione? Forse.Ma è proprio cosi che ho capito di aver vissuto da gennaio al momento in cui ho posato il sedere su un prato in Trentino. Tutto intorno a me ha ripreso confini, molto nitidi, cadendomi addosso dal cassetto in alto dove era chiuso.
Bentornati Tra le Note, un vero piacere tornare qui dopo 2 mesi di pausa, per continuare a raccontare che cosa significa a livello personale e lavorativo, creare un’azienda a 30 anni, Aperto.
Eh già, a 30 anni, ed è proprio questo uno degli oggetti di pensieri pesanti e appuntiti che mi sono cascati in testa nel momento in cui sono andato in ferie, ma ora ci arriviamo.
Partiamo dal fatto che da quando lavoro, le ferie estive le soffro.Ma aspettate a commentare, non nel senso sborone e fatturone del termine, ma perché con la concezione italiana delle ferie, lo trovo un obbligo a cui sottostare più che un piacere: per due settimane tutto si ferma, e se non volessi? Ti tocca lo stesso.
Come ti tocca stra-pagare una sdraio in una spiaggia affollata e certamente non caraibica per lo status sociale a cui appartengo, per poter finalmente staccare.
Staccare? Si dice che funzioni cosi,
ma non per me.
Tornando alla visione a tunnel, metafora presa in prestito a strofe Caparezziane con cui si rifuggeva dagli standard del divertimento della società, nel mio caso i primi 6 mesi di Aperto, hanno reso la mia vista periferica appannata:
Ho visto solo la prossima cosa da fare.
Ho riposto invece ai margini, nel blur del movimento e della velocità, tanti argomenti, che non lo riguardavano, ma riguardavano me. Questi però non sono spariti, estinti, il tempo non li ha annullati, sono rimasti li, pronti, a tornare su, come un rigurgito di cene e cene mal digerite. Bell’immagine.
Scusate.
La lentezza e la stasi sono state la miccia perfetta per riportare tutto in superficie. Boom.
E l’istinto ha provato a ridare sfocatura alla vista: prendiamo la fotocamera e le note del telefono per creare un progetto fotografico, che possa riempirmi le serate di editing per non lasciarle vuote e piene di pensieri. Ed in parte ha funzionato.
Ma era poco sincero, non era solo un’espressione personale, ma una risposta immunitaria.
E un giorno e una notte dopo l’altra arriva il rientro, le cose ripartono e piano piano, riparte anche la sfocatura ai lati. Ma non proprio tutto.
Il casello dei 30 anni si avvicina, dall’altra parte si comprano case e si fanno matrimoni, sono li in fila, fa caldo e no, non ho il Telepass ne UnipolMove.
Scusa Gassman.
E quest’anno più di altri si sono messi in fila insieme a me tante altre persone alla guida di altrettante vite. E ne ho conosciute di diversissime, alla guida di vite che non assomigliano alla mia, e che a quanto pare, fooorse, mi piacciono sotto sotto.
Nella mia famiglia abbiamo sempre avuto le Ford.
No aspetta, abbiamo sempre avuto una Ford, Focus, Station Wagon, grigia topolo.
Modelli diversi negli anni, ma sempre lei è rimasta, da quando ne ho memoria.
Mi è sempre piaciuta sai, si magari qualcuno guidava qualcosa di meglio intorno a me, ma non ho mai sofferto, e l’ho sempre usata anche poco, svincolandomi dai pensieri grazie al mio motorino. Che però non è utile per lunghi viaggi.
Ecco questo pensiero, messo li nel cassetto, scardinato dalla stasi estiva mi ha colpito dritto in fronte, di spigolo, sul segno degli occhiali da sole.
KO.
Chi voglio essere in questa fase? In questo prossimo capitolo, posso riuscire ad inserire in una cornice composta e quadrata, comoda, che ho sempre usato per racchiudermi, elementi straordinari di persone diverse da me che oggi sanno di buono, profumano di novità e colori?
Spesso quando parlo ai clienti di Aperto, nei processi di branding, chiedo sempre lo sforzo di pensare come pensa il loro brand, e non loro stessi.
Non mi ero accorto che da tempo ero immerso nell’errore contrario.
Cosa è, chi è e cosa è giusto per Aperto, lo abbiamo chiaro in testa.Ora tocca parlare con me.
E se ti ci ritrovi lo dovresti fare anche tu.
Ci vediamo alla prossima nota,
Marco.