Pro-memoria
Oggi è tempo di autocritica: Non ricordo più un cazzo.
Tutta la ricerca al fine di impostare metodi e strumenti validi per non perdersi nemmeno una informazione stanno trasformando la mia memoria in una memoria geografica e non semantica.
Ciao, bentornati Tra le Note.
Partiamo coi saluti, sennò me ne scordo, questa sarà l’ultima uscita del 2024, mi prendo un paio di settimane in più di ferie e ci rivediamo nel 2025, che purtroppo è un anno che suona molto bene e tutti ricordiamo cosa è successo l’ultima volta col “ventiventi”.
Finger cross and brace for the impact.
Oggi si parla di memoria, di “strumenti per la produttività” e di come questi hanno fatto il giro, da quanto sono diventati efficienti. Mi accorgo di essere disallenato al ricordo, soppiantato da una cattura spasmodica di quanto mi viene detto o quanto ascolto, e questa cosa non mi fa impazzire anzi: sono un pò arrabbiato.
Carta e penna non sono mai stati parte del mio ascolto attivo, sempre avuto paura di perdere pezzi o che non riuscissi nemmeno a rileggere quanto scritto, ho una terribile grafia.
Tranne la firma, la mia firma mi piace.
Ho quindi lavorato tanto per creare o implementare metodi nel mio quotidiano e di quello delle persone di Aperto, che grazie a strumenti semplici come Notion o i promemoria, permettessero di avere tutto sempre scritto e organizzato
Ma c’è un problema: forse, ho finito per affidarmici troppo, a questa pro-memoria.
Il metodo “CODE”
Da tempo seguo il metodo CODE (Capture, Organize, Distill, Express): catturo tutto, organizzo con cura, semplifico e, quando serve, uso. In inglese fa più effetto di quello che è, permettetemi un esempio veloce, siete in chiamata con un cliente o un lead:
C - Catturate le informazioni che vi servono dove vi viene più comodo,
O - le organizzate insieme alle note dello stesso tipo, quindi nelle note di quel cliente o dei lead,
D - le sintetizzate in un riassuntino per metterle “in bella”,
E - le mandate ai vostri colleghi sul progetto o al lead stesso per conferma.
Tutto perfetto, funziona, lo assicuro, ma c’è un grande ma per renderlo davvero utile:
Devi distinguere informazione da conoscenza
So di sapere, non ricordo il perché del sapere, ma so dove trovarlo.
È qui che nasce il paradosso.
Ho tutto salvato, ma spesso non ricordo perché quell’informazione mi era sembrata così importante, perché il mio prendere appunti ingurgita non solo le informazioni, ma anche la conoscenza.
«First world problems» penserete, e con adeguato motivo, avete ragione, perché no, non sto dicendo che mi perdo pezzi, ma che mi fa innervosire spesso dover tornare a spulciare nelle note e non ricordarmi al volo il perché di qualcosa.
Al lavoro, il sistema regge. Sapere dove trovare ogni cosa è fondamentale e sicuro per portare avanti i progetti. Ma nella vita personale?
Non essendo scissi come in Severance (guardatela, serie incredibile), essendo dedito a questa metodologia, riesco con fatica a staccarmici per passare ad un me diverso, con tutti i sensi ingaggiati, pronto a fare memorie. E lì, la tecnologia non può aiutarmi
Il “dono” della sintesi
Oltre a non aiutarmi, social-mente parlando, è tosta: siamo nell’era della cattura, della creazione di contenuti. Semplificando all’estremo: guardiamo attraverso uno schermo quello che ci succede, cosi allo stesso tempo possiamo catturarlo. No buono.
Forse, là fuori dovremmo capire come il “dono” della sintesi, non sia proprio una skill positiva, ed utilizzare un approccio più massimalista: sforzarsi di sentire prima di catturare, tirare fuori il telefono dopo aver fatto la check-list di colori-forme-odori e sensazioni per poter fare una bella foto da condividere.
Forse, a prescindere, non tutto va salvato.
Forse, vale la pena, lasciare alla nostra memoria un po’ di spazio per decidere da sola.
Perché alla fine, quello che ricordiamo davvero è ciò che ci ha toccato, che ha lasciato un segno.
Alla prossima nota, ad un 2025 più vivo.
Marco.